DEFINIZIONE

L’intervento chirurgico di esofagectomia consiste nell’asportazione parziale o totale dell’esofago; il ripristino della continuità del tratto digestivo superiore avviene mediante l’interposizione di un viscere addominale, più comunemente lo stomaco o in casi selezionati il colon. Sebbene l’esofagectomia rappresenti un intervento di chirurgia maggiore e sia storicamente associato ad un recupero postoperatorio delicato, nuove tecnologie e protocolli di gestione clinica peri-operatoria hanno permesso di ridurre le complicanze ed ottimizzare i risultati chirurgici.

DECORSO POST-OPERATORIO (Cosa succede dopo l’intervento)

L’esofago è un organo che passa attraverso il collo, il torace e in parte l’addome: per asportarlo è necessario un simultaneo accesso chirurgico alle cavità toracica ed addominale e talvolta alla regione cervicale: questo rende l’esofagectomia uno degli interventi più complessi in chirurgia digestiva.

Attualmente, la degenza media dopo l’intervento di esofagectomia con decorso regolare è di circa di 7-8 giorni. In questo periodo il paziente riprende gradualmente l’autonomia delle attività più semplici (es. camminare, vestirsi e lavarsi) ed una adeguata rialimentazione per bocca con dieta semisolida. La dieta semisolida è costituta di una serie di alimenti ridotti a pasti non abbondanti e di consistenza frullata o passata, e viene consigliata al paziente per un periodo di circa 15 giorni dopo l’intervento. Il paziente ottiene normalmente pieno recupero funzionale e completo ritorno alle attività preoperatorie in qualche mese.

Questi risultati, difficilmente pensabili sino a qualche anno fa quando la degenza post-operatoria era di due o più settimane, sono stati raggiunti grazie alla centralizzazione della chirurgia dell’esofago in centri altamente specializzati. Gli elementi chiave sono stati l’introduzione di protocolli clinici basati sulla evidenza, un adeguato trattamento del dolore usando mezzi antalgici specifici per la procedura (es. analgesia paravertebrale), il posizionamento di dispositivi nutrizionali nei casi di malnutrizione o cachessia (es. digiunostomia nutrizionale), e la diffusione di tecniche mininvasive in grado di permettere un minore impatto del trauma chirurgico. L’applicazione di queste metodiche migliorative si riflette in risultati clinici più favorevoli con una minore incidenza delle complicanze, una migliore gestione delle stesse e in definitiva con una riduzione della mortalità per questa chirurgia così complessa. Tutto ciò ha permesso l’estensione dell’indicazione dell’esofagectomia a pazienti in passato giudicati non idonei per età o comorbidità.

Va comunque detto che alcune complicanze sono possibili, ma la gestione dei pazienti con complicanze da parte di un team multispecialistico medico e infermieristico avvezzo a tali procedure consente un ulteriore ottimizzazione dei risultati. L’evento avverso più comune è la complicanza respiratoria (es. polmonite, versamento pleurico o pneumotorace) che tende a verificarsi in circa il 50% dei casi. La possibilità di eseguire l’intervento con tecniche mini-invasive (video-toraco-laparoscopia), accompagnata da un’adegata preparazione pre-operatoria e un trattamento post-operatorio con la mobilizzazione precoce del paziente hanno fortemente ridotto le complicanze respiratorie e, nella maggior parte dei casi l’insorgenza di disturbi respiratori, comporta solo un modesto prolungamento del ricovero.

Una seconda potenziale, ma rara, complicanza è la mancata cicatrizzazione del punto di unione tra esofago e viscere (anastomosi esofago-gastrica o esofago-colica), che può avvenire nel 5% circa dei casi. Il trattamento della mancata cicatrizzzione dell’anastomosi può essere conservativo (es. terapia medico-antibiotica, prolungato digiuno orale postoperatorio, dispositivi di aspirazione intraluminale quali sondino naso-gastrico o device a pressione negativa o necesitare di re-intervento chirurgico ma, in ogni caso, richiede diagnosi ed intervento precoci da parte di un personale specializzato. La possibilità che questo evento ad eziologia multifattoriale possa manifestarsi nei giorni successivi all’intervento riflette la misura della necessità di svolgere questo tipo di chirurgia in centri ad alto volume e specializzati nella chirurgia esofago-gastrica.

 

RESEZIONE ESOFAGEA E ACALASIA

Nella storia naturale dell’acalasia esofagea, laddove non trattata o trattata in modo non adeguato o comunque dopo la comparsa di una recidiva, circa il 5% dei pazienti manifesta nel tempo un quadro di scompenso funzionale generalmente definito come megaesofago acalasico scompensato. Questa situazione rappresenta un quadro di compromissione severa e non reversibile delle fisiologiche funzioni dell’esofago, condizionato dalla completa inefficacia della peristalsi viscerale ed associato ad alterazioni organo-strutturali come la dilatazione del lume, la torsione del viscere lungo il suo decorso che assume un aspetto sigmoideo e la formazione di pseudo-diverticoli dell’esofago terminale. Questi segni sono facilmente rilevabili con mezzi di indagine endoscopici e radiologici, e rappresentano “punti di non ritorno” che rendono impossibile la cura del quadro digestivo superiore mediante le consuete terapie endoscopiche e chirurgiche. In tali casi infatti, anche l’annullamento delle resistenze dello sfintere esofageo inferiore ottenibile con la tradizionale miotomia chirurgica o eseguita con approccio endoscopico, non rappresenta un’alternativa terapeutica valida per via della lenta ed irreversibile degenerazione neuro-muscolare dell’esofago. La condizione di megaesofago acalasico comporta complicanze come il sanguinamento massivo dalla mucosa esofagea oltre all’instaurarsi di compromissioni nutrizionali durature, secondarie ad una disfagia progressiva e persistente che, in termini di adeguate rialimentazione e qualità di vita, può trovare soluzione unicamente con l’intervento chirurgico resettivo di esofagectomia.

 

Prof Riccardo Rosati
Unità Operativa di Chirurgia Gastroenterologica
Ospedale S. Raffaele